Era una giornata di pioggia e no, non ci saranno “Andrea e Giuliano che incontrano Licia per caso”. Ci sta Ambra, che sta scappando ad un meeting a Shanghai, il giorno prima dell’apertura della mostra di Leonardo Da Vinci a Changsha. La mia società stava collaborando con il governo e l’agenzia cinese organizzatrice dell’evento, per questa mostra, portando un’artista italiana durante il live streaming della manifestazione. Il mio programma era chiaro: io non vado a Changsha. Ma in questa giornata di pioggia, mentre sto correndo, senza ombrello, cercando di raggiungere il meeting, senza taxi nei paraggi, accade qualcosa che cambierà tutta la mia storia dei successivi giorni. Accade che il responsabile della società che organizza l’evento mi chiami e mi dica che hanno un problema, non hanno un traduttore per la diretta. Serve qualcuno di bella presenza, cinese, che possa tradurre dall’italiano al cinese, e non dall’inglese al cinese. Mando diversi messaggi ad amici e conoscenti mentre la mia vista si appanna per la pioggia e i miei piedi, dentro le scarpe, cominciano a fare il classico rumore “squash squash” di quando sei zuppa. Sono stanca, sono in ritardo, sono bagnata come un pulcino e, chiaramente, continuo a ricevere risposte negative. Chi vuole partire con qualche ora di preavviso per Changsha? Non importa che la paga sia altissima, nessuno è disposto a mettersi su un aereo e stare fuori tre giorni con 12 ore di preavviso. E poi mando il messaggio che le mie dita volevano scrivere e la mia testa no. Mando il messaggio a “quel” ragazzo. Perché in ogni storia ci sta sempre un ragazzo no? Lui mi dice di si, senza colpo ferire, quando partiamo? Partiamo? E chi gli ha detto che parto pure io, io non ho intenzione di partire. Ma mentre il mio cervello sta cercando di decifrare il suo messaggio e le mie reali intenzioni mi arriva un messaggio dell’organizzatore. “Fantastico! Sono contentissimo che hai trovato il traduttore, è anche un influencer famoso quindi pure meglio! mandami le foto dei vostri passaporti”. La mia mente si annebbia… dei “vostri” passaporti… Quella del traduttore è stata una scusa per forzarmi ad andare a Changsha? Non lo so, e non lo scoprirò mai perché quello che ho fatto, in quel momento, mentre continuavo ad annuire alle persone sedute con me al meeting a Shanghai e le loro parole, nella mia testa, erano in realtà soltanto un brusio, è stato mandare istintivamente le foto di entrambi i passaporti.
Partiamo per Changsha…

Arriviamo all’aeroporto di Shanghai, muniti di mascherine FPP3 da cambiare con le chirurgiche che indossavamo quando eravamo in macchina. E’ il mio primo viaggio post Covid, sono emozionata e confusa. Sono nata con la valigia in mano. La valigia è il miglior vestito che io possa indossare. In realtà non sono confusa, ho paura. E’ una sensazione stranissima che non vi saprei spiegare ma dopo 59 giorni di lockdown volontario e 3 mesi di maschera costante e continua, prendere un aereo, per un’ipocondriaca come me, è quasi una follia. L’aeroporto di Shanghai ha solo pochi ingressi aperti. Il personale con mascherina e termometro controlla te, le valigie, la temperatura e ti chiede anche il codice QR per essere sicuro che sia verde (è il codice che abbiamo nel telefono per andare nei posti pubblici). Pensavo di fare chissà che fila o chissà che controlli ma invece la situazione è apparentemente abbastanza normale, tutti con la mascherina (ma in Cina anche in tempi di pace la maggior parte della gente la indossa) e tutto si muove abbastanza velocemente.
Quando saliamo sull’aereo ci controllano ancora una volta la temperatura ma non ci sono distanziamenti, indossiamo tutti la mascherina e la maggior parte del personale aeroportuale ha anche i guanti. Io i guanti li ho in borsa e mi sto sentendo nuda senza, ma dall’altro lato faccio grossa fatica a respirare con la FPP3 che non è una mascherina chirurgica. È attaccata al volto, alla pelle, mi tira le orecchie, mi crea grande fastidio al naso. Come dovrei volare 2 ore e mezza con questa maschera? Poi penso che ho girovagato per Shanghai con questa maschera per più di un mese e non riesco nemmeno a ricordare come ho fatto. Dopo 40 minuti che siamo in aereo il dolore diventa insopportabile, vorrei quasi prendermi a pugni le gambe o le braccia per provare male da qualche altra parte. Mi è venuto pure mal di testa. Arriva il pranzo, non ho fame ma è una buona scusa per togliere la mascherina e alleviare la sofferenza. Tolgo la mascherina per qualche secondo e mi sembra di essere in paradiso, mi guardo attraverso la fotocamera del cellulare e vedo i segni sul naso e sulle guance. Li avevo quasi dimenticati. Penso ai medici che la indossano 12 ore al giorno e che per colpa di chi non la mette e non rispetta le regole dovranno portarla per chi sa quanto tempo e la rimetto. Tanto non ho nemmeno fame. 1 ora e 50 minuti non cambieranno la mia vita.

Atterriamo e a Changsha cominciano i problemi. Nel Paese tecnologicamente più avanzato del mondo hanno un qr code diverso per ogni città e non si attiva nella stessa applicazione. Compiliamo un modulo e scarichiamo un altro qr code ma all’uscita, dove deve essere fatta la scansione del qr code davanti ai tornelli, quello che abbiamo non funziona.
Impieghiamo 20 minuti per capire cosa sta succedendo e cosa dovremmo utilizzare, alla fine un addetto dell’aeroporto ci manda in un’altra fila dove, invece di una macchina per la scansione del qr code, ci ritroviamo davanti gli addetti dell’aeroporto bardati come in ospedale con tanto di tuta bianca, copriscarpe e protezioni varie. Perdiamo altri 15 minuti di tempo per compilare moduli, controllo temperatura e finalmente generare il qr code giusto. Ok, siamo liberi.
Usciamo dall’aeroporto e Changsha ci accoglie con 42 gradi, umidi. Io ho appena cambiato la mia fpp3 con una normale mascherina chirurgica ma è come se la pelle mi si stesse staccando di dosso. L’organizzatore e l’autista non sono ancora arrivati e io sto maledicendo me stessa per avere scelto di partire con i jeans. Finalmente l’auto arriva e la situazione, con l’aria condizionata, migliora. Impieghiamo un’ora per arrivare in hotel. Changsha non è una città molto grande nonostante sia la capitale della provincia dello Hunan, sono solo 7 milioni di abitanti, ma sembra enorme, forse per il traffico. Entriamo in hotel e non abbiamo problemi, e questo è già un passo avanti. Si, un grande passo avanti perché la mattina della partenza eravamo ancora senza albergo visto che tutti gli hotel vicino alla mostra non accettavano stranieri come ospiti. Abbiamo 20 minuti per sistemarci perché dopo dobbiamo andare alla mostra, fare un promo per l’evento in streaming del giorno dopo e poi andare a cena fuori con il gruppo di lavoro.





L’organizzatore ci porta in uno street market della vecchia Cina, il 超级文和友 (CHĀOJÍ WÉN HÉ YǑU). Creato apposta da un’azienda (che in Cina viene definita “la Disney del settore della ristorazione”) perché assomigliasse alla Cina degli anni ’80-’90. Questo mercato è semplicemente perfetto. Costruito in verticale, con una littorina che circola all’ottavo piano, delle biciclette antiche ammassate al quinto e la signora con il carrellino che si ferma e vende snack o frutta mentre sei seduto ad un tavolo. È un posto per le foto, è un posto per mangiare cibo “di casa” è un posto dove puoi essere te stesso e ordinare le cosce di pollo in un baracchino con una scritta ingiallita e mangiarle con le mani. Per entrare, però, devi fare la fila, mostrare il codice e misurare la temperatura. Noi stavolta abbiamo il codice giusto, quindi entriamo velocemente.
Mentre gli altri si siedono a tavola io decido di fare un giro, scopro sale private per i pranzi con l’insegna del barbiere, finte lavanderie con vecchie lavatrici e panni appesi, pure una sala da ballo.
Mi sono innamorata, questo posto sembra il set di un film. Torno a tavola con un sorriso incredibile stampato sul volto, sembro una bambina di 10 anni che ha appena visto il Paese delle meraviglie.

Il piatto che hanno già servito, poi, è uno dei miei cibi preferiti, 小龙虾, le piccole aragoste.
Dopo arrivano delle uova saltate con la carne di maiale, le zampe di gallina (tragicamente sempre immancabili), vongole in zuppa, spaghetti freddi e tante altre bontà. Si mangia bene, benissimo. È piccante, piccantissimo. È proprio il mio cibo (tranne le zampe di gallina…), non c’è ombra di dubbio. Finiamo di cenare e facciamo un giro, ci raccontano di questa azienda che ha costruito questo mercato e rivediamo le cose che io avevo già sbirciato durante il mio giro.
























Poi le persone che erano con noi decidono di andare a dormire, mentre noi proseguiamo il tour notturno di Changsha. La notte è giovane e questa città è giovanissima. I locali sono tutti aperti, parliamo con dei tassisti e con delle persone del luogo e ci dicono che, nella zona dove siamo, tutto resta aperto fino alle prime luci dell’alba. Ci avventuriamo anche noi. Cominciamo a girovagare per la strada e l’atmosfera è quella della Cina bella, giovane. Festa, divertimento.


Decidiamo di entrare in una discoteca. E a quel punto la realtà ci sbatte in faccia e ci ricorda che siamo in una cittadina sperduta della Cina e non in una città di primo livello.
Gli stranieri non possono entrare.
(Faccio una piccola pausa nel racconto per dire che normalmente questo non accade, questa situazione è legata al Covid e, nonostante questo, per me non è giustificabile, oltre che illegale, ma non ero in serata per chiamare la polizia e fare storie ai locali).
Proseguiamo nella nostra nottata nella speranza di trovare una discoteca che ci accetti.
Non siamo fortunati. Le porte si chiudono davanti a noi in ogni discoteca in cui proviamo a mettere piede. Chi è onesto ci dice che non accettano stranieri, chi cerca la scusa ci dice che possiamo entrare solo se mostriamo il test dell’acido nucleico negativo. Alla fine la solfa è la stessa. Siamo tre stranieri (io e la pittrice italiane, il traduttore mezzo cinese e mezzo italiano) non possiamo entrare. Finiamo quindi in un bar/pub. La musica è divertente, c’è tanta gente e ci sono pure i giochi interattivi sul tavolo. La notte finisce presto, però, il giorno dopo si lavora.
Non vi racconto della giornata lavorativa per non annoiarvi, vi dico solo che ad un certo punto, esausta, ho scoperto che dentro il centro commerciale dove c’era la mostra ci stava una pista di pattinaggio sul ghiaccio.
…una liberazione.

Entro in un negozio, compro un pantaloncino ed una maglietta (non ero abbigliata per l’occasione) e mi “perdo” sul ghiaccio per un’ora. Non pattinavo da mesi, da prima del Covid, ed è strepitoso.
Sulla pista ci sono atleti, giocatori di hockey, bambini e principianti, un pò di tutto. Non ha grande importanza per me però perchè, ad un certo punto, mentre osservo la folla, decido di indossare gli auricolari e rimaniamo solo io e il ghiaccio e ballare un tango fino all’ultimo respiro… anzi no, fino all’ultimo messaggio.
Puntuale come un orologio l’organizzatore, arrivato finalmente alla mostra, mi chiede dove io mi trovi e se possiamo incontrarci per una riunione. Così dico addio ai pattini e mi avvio mestamente verso la mostra. Mentre cammino per il centro commerciale incontro pure un trenino che trasporta le persone da un lato all’altro dello shopping mall. Ricordatevi che siamo in Cina, il Paese che ha “inventato” le consegne a domicilio per McDonald, cosa ci sta di strano in un trenino che porta a spasso la gente che non ha voglia di camminare a piedi all’interno del centro commerciale?
E dopo un paio di piani a piedi ed essermi persa dentro lo shopping mall eccomi tornare alla mostra dove mi aspetta la diretta della pittrice e del traduttore/influencer che vendono frigoriferi e lavatrici parlando di Leonardo Da Vinci insieme con altri due presentatori.




La serata va avanti fino alle 23 quando, finalmente, tutto finisce. Le luci e le telecamere si spengono. I tacchi vanno via e cominciano le foto e i festeggiamenti per le vendite fatte. Da quel momento la serata cambia, io cambio.

Mi perdo in quella nottata, in quella città, negli occhi dei cuccioli di cagnolino in vendita (NON DA MANGIARE), dei tavoli dei cinesi in festa, degli occhi estasiati di me stessa che avevo perso, delle corse in mezzo al traffico con il semaforo rosso e i cinesi in macchina che suonano, dei venditori abusivi di palloncini e della gente che ride in mezzo alla strada.
Il giorno dopo perdiamo l’aereo. Era inevitabile, io ho una statistica incredibile, perdo 1 aereo ogni 5 che ne prendo (ognuno ha i propri difetti: io perdo gli aerei). Mentre la pittrice (che è partita con l’aereo della mattina) mi manda messaggi da Shanghai chiedendomi quando avessi intenzione di tornare io mi ritrovo su un motorino abusivo in 3 persone, con una placca in ferro montata apposta per fare salire più gente possibile, a girovagare per Changsha.
Con il nostro autista abusivo arriviamo sulla riva del fiume. C’è molto caldo ma è bellissimo. La gente passeggia e, vicino a noi, all’ombra degli alberi, c’è chi è sdraiato sulle panchine per rilassarsi e chi gioca a “frustare” le trottole.
C’è caldo, si lo so ve l’ho già detto, ma ve lo voglio sottolineare di nuovo perchè c’è veramente caldo, un caldo a cui nemmeno io che sono siciliana sono abituata. Le strade sono troppo grandi e non ci sta un taxi nemmeno a pagarlo oro, nella mia testa comincia a balenare l’idea che forse perderemo anche il secondo aereo della giornata. Alla fine riusciamo a trovare un taxi, arriviamo in hotel prendiamo le valigie e ci dirigiamo verso l’aeroporto. Mentre guardo questa città penso che tra qualche ora saremo di nuovo a Shanghai e mi chiedo come sarà per noi stranieri Changsha quando il Covid sarà finito.

Non vi racconterò altro di questa gita, della casa del tè in riva al fiume dopo il giro sul motorino abusivo, delle corse per arrivare in aeroporto e non perdere due aerei in un giorno e soprattutto non vi racconterò di “quel ragazzo”. E’ una storia che assomiglia a quei drama cinesi di cui guardi le prime due puntate e poi stacchi perché pensavi di avere scelto The Big Bang Theory e invece stai vedendo Million Dollar Baby.
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Stupendo articolo. Ho avuto la fortuna di essere là quando hai fatto il live. Magica. Per “il ragazzo”… peccato. Forse ti può consolare una cosa che penso e che mi aiuta sempre a ridimensionare certe persone e a consolarmi: “caghiamo tutti seduti” (pardon my French). Io, tu, un re, un presidente… caghiamo tutti seduti. Nessuno lo fa in piedi e, dunque, nessuno è strafigo sempre. 😊
Intanto grazie per avere seguito il live 🙂 e grazie anche per il suggerimento/consolazione, in effetti è vero, nessuno è e soprattutto fa lo strafigo per sempre!!! 🙂